Prevedere l'evoluzione dell'uomo è difficile: prevedere
l'evoluzione delle macchine è impossibile. Della nascita dell'uomo, almeno il
modo, se non le ragioni ed il fine, si conosce. Il risultato sarà più o meno
buono, ma si sa presso a poco cosa verrà fuori dopo i fatidici nove mesi.
Tutt'al più non nasce maschio ed un’altra femmina; alcuni con la pelle nera,
altri gialla, altri bianca; alcuni con naso corto, altri col naso lungo; alcuni
che diverranno giganti, altri resteranno nani. E succedono anche sbagli
frequenti perché, ad esempio, nascono troppi sciocchi anziché mediocri. Ma,
infine, la madre ed il padre dell'uomo da sempre non creano che uomini e donne,
salvo le rare eccezioni dei due o più gemelli. Una stirpe monotona appunto
invece le macchine madri (il padre e per lo più ignoto) concepiscono e
partoriscono in serie sempre più numerose, imperfetta collaborazione, anzi
addirittura in promiscua comunità senza alcun pregiudizio: una blu o uno spremilimoni,
una centrale elettrica o un orologio, una locomotiva o un macinino per il
caffè. Esseri con braccia lunghe 30 m ed esseri senza braccia: individui ciechi
che vanno a tastoni, ed altri con grandi occhi che penetrano nel buio a
scrutare chilometri di oceano; velocissime capsule spaziali e sotterranee
testuggini da scavo; bambole sorridenti e mitra assassini. E la evoluzione
delle specie? Del genere umano si discute da tanto tempo se nei secoli si sia
verificato, e possa verificarsi in futuro, qualche miglioramento di qualità: le
risposte sono piuttosto deludenti, a volte preoccupate, spesso addirittura
negative. Delle macchine invece si può dire con sicurezza che l'evoluzione è
indubbia, velocissima, sorprendentemente conseguenti e positiva. Ogni
generazione provocherà certamente la nascita di una generazione più perfetta, a
ritmo sempre più celere. E una storia inesorabile. La macchina semplice genera
via via macchine più complesse, poi la supermacchina, poi la strasupermacchina.
Fra il bastone (che è la più semplice macchina usata per costruire le piramidi)
e la calcolatrice elettronica, c'è una macroscopica differenza del tutto ignota
al genere umano. Dove finirà questo progresso metodico, automatico, questa
marcia trionfale che moltiplica numeri e risultati? Gli uomini lavorano per
mangiare, per avere dei figli, una casa, per divertirsi. Quando non lavorano
vivono lo stesso, il loro cuore continua a pulsare, la loro bocca si muove, lo
stomaco funziona. Le macchine no: lavorano soltanto per lavorare, vivono
soltanto per lavorare. Non hanno altro scopo ed altre aspirazioni. Se non
lavorano, ristanno come morte. Ma hanno la miracolosa qualità di risorgere in
qualsiasi momento: olio, petrolio, elettricità, poi quanto più corto sarà il
riposo, tanto meglio. Le macchine si fermano e muoiono soltanto seguendo ferree
leggi economiche e matematiche, e scompaiono silenziosamente soddisfatte di
avere rappresentato un anello indispensabile della lunga catena evolutiva della
loro specie. Non chiedono monumenti. Le macchine sono esseri molto seri.
Perfino la giostra del luna Park punti l'hanno riempita di specchietti, di
orpelli, di rose e sirene rubiconde davanti ed i cavallucci rubicondi didietro.
Tutti ridono, i bambini battono le mani, ma lei gira ansimando un pezzo del Trovatore,
gira indifferente, come assente, gira come se il suo lavoro non la riguardasse.
Lei fa il suo dovere dignitosamente: la gioia e per gli altri. Le macchine sono
prive di fantasia, ma vincono la fantasia. Quando il grande Chicote, presago
dell’avvenire, parti con la lancia in resta per vincere il mulino a vento nel
quale egli scorgeva giustamente il gigante terribile, capo stipite della
macchinale generazione, fu lui, il mulino a vento, a vincere, disarcionando il
poeta ed umiliandolo nella polvere. Ma il mulino, serio, indifferente continuo
a girare le lunghe braccia come se niente fosse accaduto, senza rallegrarsi ne
dispiacersi senza menar vanto della triste vittoria. Soltanto noi, simili del
Chicote, ma di lui meno illuminati, usiamo ridere incoscientemente di questa
offesa fatta alla immaginazione dell’eroe, usiamo ridere di questa prima
infelice ribellione ad una generazione che si autogenera si auto fertilizza
crescendo in ragione geometrica condizionando sempre più la nostra vita,
cambiando il nostro destino, la nostra storia. E vero che noi abbiamo anche
tentato la caricatura delle macchine, abbiamo cercato di prenderle in giro, di
offendere la loro serietà creando le macchine inutili ed esponendole al riso
nelle cosiddette mostre d'arte. Ma il falso era senza anima ed è fallito: e
risultato una caricatura dell’arte, non della macchina. Molti si sono chiesti
se le macchine vogliono sostituirsi a noi, se vogliono la nostra fine. Un amore-odio
vago serpeggia fra noi. I bambini, che delle macchine amano l'effige nei loro
balocchi, subito li spezzano per cercare un cuore che non esiste: i bambini
sono forse guidati da una presaga intuizione? Ma intanto proprio alle macchine
noi dobbiamo la nostra sopravvivenza ed il riscatto dalla maledizione biblica “mangerai
il pane col sudore del tuo volto “. sono esse che ci lavorano i campi, ci
cuociono e ci trasportano il cibo, moltiplicano tutto quanto serve alla nostra
sopravvivenza, alla impetuosa crescita delle nostre vite. Ed appagano i nostri
sogni portandoci perfino sulla luna. La nostra stirpe e quella delle macchine
hanno un destino comune: le macchine sembrano più sicure del loro che noi del
nostro. Come fare, per continuare a rimanere noi, gli dei del loro Olimpo?
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