« l Mirabilia di questo buon Padre Lòpez, viaggiando e conoscendo quelli strani costumi, paion voler accreditare una sorta di moralità, o etica, per quanto discosto dalla consueta e perenne controversia de' filosafi circa la predestinazione e l'arbitrio libero: e discrivono il macchinismo interiore e propio della vita d' ognuno . L'ultimo suo capitolo, in sul sopravvenir della morte, argomenta la è una discongiuntura o spegnimento d'ogni accozzo di possibilità compatite: tantoché la ti vien tacita, e come la ti camminassi dietro le stiene » (Bandinelli) .
« . . • . È pur anche vero, signor dottore ! . . . . noi altri non abbiamo nulla da perdere . . . . questo è sicuro . . . . E lui non le toglieva gli occhi dai brillanti . . . . La signora si moveva per casa: e lui le andava dietro . . . . e continuava a fissarle un orecchio . . . . e poi quell'altro . . . . e lei o andava in sala, e lui dietro in sala . . . . e tornava in cucina a nettare l a macchinetta del caffè, cont il fischio,
che a me non me la lascia neanche toccare, guai, guai ! . . . . e lui dietro in cucina . . . .
« . . . . Cercheremo di persuaderla . . . . che vuoi che le dica? . . . . Se poi è che non ha fiducia . . . . del sottoscritto, e ha intenzione di sentirne un altro, oeh! ma s'immagini! non sarà la fine del mondo . . . . Niente di male: siamo qui apposta per aiutarci: se non c'è uno, c'è l'altro . . . . La potremo portare a Novokomi dal dottor Balanzas, in macchina, la Pina sarà felice, povera signora! . . . . o dal dottor Oliva, giusto . . . . meglio ancora! O anche a Terepattola, se crede, il professar Lodomez, quello che ha curato il Caçoncellos . . . . »
C 'è pure qualche automobile rubata, a sto mondo . . . . No? . . . . E loro la sanno guidare, la macchina, stia tranquillo ! . . . . E anche a fari spenti . . . .
Ella non si capacitava del come le fosse riapparito, oh, in un'alba di cenere: tra le mercature e la fanghiglia di Pastrufazio, e le macchine invitte . Era incolume, con poveri anni dentro le grigie controspalline del ritorno.
Fumavano. Subito dopo la mela. Apprestandosi a scaricare il fascino che da lunga pezza oramai, cioè fin dall'epoca dell'ossobuco, si era andato a mano a mano accumulando nella di loro persona - (come I' elettrico nelle macchine a strofinio) - ecco, ecco, tutti eran certi che un loro impreveduto decreto avrebbe lasciato scoccare sicuramente la importantissima scintilla, folgore e sparo di Signoria su adeguato spinterògeno ambientale, di forchette in travaso. Cascate di posate tintinnanti! Di cucchiaini!
Nessun aumento di temperatura si verificò nella sala, davanti a quella macchina operante per sentito dire, a rendimento termico nullo, che è il fesso e assolutamente rimbecillito caminetto. Antica età bisognava, e chiome di faggete sul monte, anziché i bernòccoli delle calve sierre o la scheggiata montagna di Terepàttola, per aver ricorso a una cosi povera trovata.
E certo che sulla strada di Iglesia, a motore acceso, una macchina doveva attenderli: il che, nel dialetto turcasso-celtico della Keltiké dicesi «col motor pizz ». Esso non è affatto la lingua maradagalese.
Rimbambiti cavalli giravano, dondolando, a tondo, afferrati per le corna da cavalcatrici con le gambe divaricate, con sdrucite mutande, non sapeva se pizzi o strappi, pezzi di pelle certo . . . . Una musichetta nasale veniva fuori dal perno del macchinone, secoli di musica e bisognava fare onore alla tradizione musicale, come se la Miseria avesse preso il raffreddore. Più tardi negli anni quella musica celestiale gli ritornò con gocce di luna tersissime, ed era la Norm a . . . . Ma allora dalla giostra, gli pareva la musica del cenciume, del naso brodoso, della rivolta, dei torroni, dei colpi di gomito, delle frittelle, delle arachidi brustolite che precipitano il mal di pancia alle merde.
Al fondo, al fondo, sepolta sotto la letteratura e la polvere, ci doveva pur essere . . . . La macchinetta dei piselli, quella che aveva riportata di trincea . . . . Ci doveva essere, ci doveva essere, se i topi non avevano rosicchiato anche quella . . . . Eccola! Estraeva dall' astuccio la leggera mitraglia, ne riprovava a vuoto il congegno . . . . Tutto era lucido, come allora, ingrassato ogni dente, ogni nottolino, come allora . . . . la vasellina pareva pennellata da jeri. Ecco il caricamento e il ricupero : funzionavano? oh ! se funzionavano ! Tatràc, la molla! il gancio . Come sulla spalla del monte . I caricatori eran lucidi, con acute punte, come pettini, come quando se ne insigniva il terriccio rosso, alla caponiera del Faiti; o nel mezzogiorno senza trincere, pronti, dentro il fetore, tra le scaglie del sasso, a cinque minuti dalla risposta.
Pensarono forse (per quanto poi non sapessero giustificare la loro decisione) di raggiungere Lukones e di risalire la strada di Iglesia per arrivare addosso, con le rivoltelle spianate, alla supposta macchina? Ma allora potevano andarvi dal parco, dall'altra parte del parco. Ma no, perché adesso erano alla casa della signora, in tutt'altro luogo.
Dal Giuseppe, in sala da pranzo, faceva accatastare contro gli scuri sprangati il bastimento abbastanza pesante della macchina da cucire, (che come macchina da cucire però non funzionava) e, sòpravi, una poltroncina di vimini, e sopra questa, piuttosto in bilico, un vecchio arcolaio.
Il grottesco, in tale vasta occorrenza esterna, un tal grottesco non si annida nella pravità macchinante
del fegato dell'autore della Cognizione, semmai nel fegato macchinatore della universa realtà. Esso fegato ricercatore, impigliandosi in reiterati tentativi, intrappolàtosi in reiterate impasses, e divincolàtosi poi a mala esperienza esperita, ne recede piu o meno goffamente, se ne sbroglia del tutto e di nuovo tende a via libera; tende verso la infinita, nel tempo e nel numero, suddivisione-specializzazione-obiettivazione del molteplice.
E certo che sulla strada di Iglesia, a motore acceso, una macchina doveva attenderli: il che, nel dialetto turcasso-celtico della Keltiké dicesi «col motor pizz ». Esso non è affatto la lingua maradagalese.
Rimbambiti cavalli giravano, dondolando, a tondo, afferrati per le corna da cavalcatrici con le gambe divaricate, con sdrucite mutande, non sapeva se pizzi o strappi, pezzi di pelle certo . . . . Una musichetta nasale veniva fuori dal perno del macchinone, secoli di musica e bisognava fare onore alla tradizione musicale, come se la Miseria avesse preso il raffreddore. Più tardi negli anni quella musica celestiale gli ritornò con gocce di luna tersissime, ed era la Norm a . . . . Ma allora dalla giostra, gli pareva la musica del cenciume, del naso brodoso, della rivolta, dei torroni, dei colpi di gomito, delle frittelle, delle arachidi brustolite che precipitano il mal di pancia alle merde.
Al fondo, al fondo, sepolta sotto la letteratura e la polvere, ci doveva pur essere . . . . La macchinetta dei piselli, quella che aveva riportata di trincea . . . . Ci doveva essere, ci doveva essere, se i topi non avevano rosicchiato anche quella . . . . Eccola! Estraeva dall' astuccio la leggera mitraglia, ne riprovava a vuoto il congegno . . . . Tutto era lucido, come allora, ingrassato ogni dente, ogni nottolino, come allora . . . . la vasellina pareva pennellata da jeri. Ecco il caricamento e il ricupero : funzionavano? oh ! se funzionavano ! Tatràc, la molla! il gancio . Come sulla spalla del monte . I caricatori eran lucidi, con acute punte, come pettini, come quando se ne insigniva il terriccio rosso, alla caponiera del Faiti; o nel mezzogiorno senza trincere, pronti, dentro il fetore, tra le scaglie del sasso, a cinque minuti dalla risposta.
Pensarono forse (per quanto poi non sapessero giustificare la loro decisione) di raggiungere Lukones e di risalire la strada di Iglesia per arrivare addosso, con le rivoltelle spianate, alla supposta macchina? Ma allora potevano andarvi dal parco, dall'altra parte del parco. Ma no, perché adesso erano alla casa della signora, in tutt'altro luogo.
Dal Giuseppe, in sala da pranzo, faceva accatastare contro gli scuri sprangati il bastimento abbastanza pesante della macchina da cucire, (che come macchina da cucire però non funzionava) e, sòpravi, una poltroncina di vimini, e sopra questa, piuttosto in bilico, un vecchio arcolaio.
Il grottesco, in tale vasta occorrenza esterna, un tal grottesco non si annida nella pravità macchinante
del fegato dell'autore della Cognizione, semmai nel fegato macchinatore della universa realtà. Esso fegato ricercatore, impigliandosi in reiterati tentativi, intrappolàtosi in reiterate impasses, e divincolàtosi poi a mala esperienza esperita, ne recede piu o meno goffamente, se ne sbroglia del tutto e di nuovo tende a via libera; tende verso la infinita, nel tempo e nel numero, suddivisione-specializzazione-obiettivazione del molteplice.
Nessun commento:
Posta un commento